Abstract
Scopo principale del mio saggio è quello di ricostruire il percorso della riflessione sulla lingua nel pensiero gramsciano dagli anni giovanili, fino ai Quaderni del carcere. Nella prima parte mi occupo della formazione del giovane Gramsci. Al tempo dell’università egli rivolse i suoi interessi di studio in particolare agli insegnamenti di glottologia del prof. Matteo Bartoli. In contrasto con la visione dei neogrammatici, i quali intendevano lo studio della lingua come una ricerca dell’origine del vocabolo o del suono, Matteo Bartoli, della scuola neolinguista, credeva nell’utilità di un approccio storico alla lingua e ideò un sistema di norme cosidette areali (o spaziali) per stabilire con una relativa certezza il rapporto di anteriorità/posteriorità di diversi fasi linguistiche in mancanza di dati documentabili. Attorno al 1920 Gramsci scrisse un saggio sulla questione della lingua secondo Manzoni. Il documento è andato perduto, ma da riscontri epistolari sappiamo che in quel contesto egli si era occupato della storia della cultura italiana e in particolare del distacco tra lingua scritta e lingua parlata. Nel dibattito sull’unificazione della lingua in Italia, Gramsci non appoggiava la posizione di Manzoni, bensì quella ascoliana. Il motivo è da ricercare ancora una volta nell’approccio storico utilizzato dall’Ascoli oltre al suo riferimento non al singolo, ma ad una comunità di parlanti, composta da popolo e intellettuali; con l’autore de I promessi sposi invece la distanza nasceva dal fatto che nella sua teoria linguistica era completamente assente un aspetto dinamico, relativo alla formazione culturale della lingua e ai suoi rapporti verticali ed orizzontali con altri idiomi. Altro passaggio importante della formazione linguistica del giovane Gramsci è lo studio del Saggio di semantica di Michel Bréal, a cui con ogni probabilità si deve il concetto di ‘spirito popolare creativo’ coniato da Gramsci. Bréal aveva parlato di ‘spirito popolare’ oppure di ‘intelligenza popolare’, come una sorta di soggettività diffusa, depositaria di una conoscenza della lingua che viene dall’uso. La formazione linguistica di Gramsci è stata per anni poco considerata negli studi gramsciani. Nella seconda parte vorrei descrivere quale sia stato il contributo dei lavori più interessanti su questa tematica, soffermandomi in particolare su Lingua intellettuali egemonia in Gramsci di Franco Lo Piparo. Nella terza parte commento alcune note dei Quaderni del carcere di argomento linguistico e cerco di mettere in evidenza la relazione con i temi e le fonti citate nella prima parte. Dalla lettura trasversale dei Quaderni si nota come la linguistica sia un tema presente a Gramsci durante tutto il periodo carcerario, anche se esso non verrà svolto a sufficienza, rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare dalle dichiarazioni di intenti dell’autore, espresse in alcune lettere e nei piani di studio. Riguardo al Quaderno 29, dopo avere commentato e contestualizzato le note ivi contenute, propongo una mia tesi sulla sua genesi, basata sul raffronto di note provenienti da quaderni diversi. Nell’ultima parte mi occupo del rapporto tra oralità e scrittura come nesso tematico che attraversa i Quaderni del carcere.
The main purpose of my essay is to deliver an outline of Gramsci’s path of reflection on language, from his youth to the writing of the Prison Notebooks (Quaderni del carcere). In the first section, I deal with young Gramsci’s vocational training years. While attending University, he was particularly interested in the linguistics teachings of Prof. Matteo Bartoli. In contrast with the neo-grammarians, who assumed that the study of language consisted in the search for the origin of a word or of a sound, Matteo Bartoli, who belonged to the neo-linguistics School, believed in the value of an historical approach to language, and invented a system of so-called areal (or spatial) norms for asserting (in absence of verifiable data) with a relative degree of certainty, the interrelationship, in terms of anteriority/posteriority, of distinct linguistic phases. Around 1920, Gramsci wrote an essay about Manzoni’s view on the language issue. The document has gotten lost, but reading Gramsci’s epistolary we have learned that, in its context, he had dealt with Italy’s cultural history. In particular, he had focused on the disconnection between the written and the spoken languages. In the debate about the linguistic homogenization in Italy, Gramsci did not support Manzoni’s view, but that of Ascoli. The reason is to be found, once more, in Ascoli’s historical approach, and on his reference not to the individual, but to a community of speakers viewed as composed of intellectuals and of common people. The distance between Gramsci and Manzoni’s positions, instead, relied on the fact that the latter’s theory of language totally lacked a dynamic aspect to be related to the cultural shaping of language and to its vertical and horizontal relations with other idioms. Another important step in young Gramsci’s academic training in linguistics is his study of Michel Bréal’s Essay on Semantics (Saggio di semantica) to which we most probably owe Gramsci’s concept of “popular creative spirit”. Bréal wrote of a “popular spirit”, or of a “popular intelligence”, referring to some kind of diffuse subjectivity, a repository of a kind of knowledge about language that comes with its use. For a long time, the studies of Gramsci’s thought have taken his training years into little consideration. In the second section of the essay, I would like to show the quality of the contribution provided by the most interesting works on the subject. In particular, I focus on Franco Lo Piparo’s text: Language, Intellectuals, Hegemony in Gramsci (Lingua intellettuali egemonia in Gramsci). In the third section, I comment on some notes on linguistics topics in the Prison Notebooks, aiming to highlight the relation they have with the issues and sources I refer to in the first section. A cross-sectional reading of the Notebooks shows how linguistics was an issue Gramsci dealt with throughout his prison years, even though we can only imagine (going through the declarations of intent he expressed in some of his letters and study plans) what could have been the outcome had he sufficiently refined the subject. Regarding Notebook number 29, after commenting and contextualizing the annotations it contains, I propose my theory on its genesis, based on a cross reference to writings included in different Notebooks. In the last section, I approach the relation between oral tradition and writing as one of the issues crossing the Prison Notebooks.