Abstract
Questo articolo esplora le politiche quotidiane di riconoscimento dei rifugiati in una Ong ateniese di consulenza legale per l’asilo. Esaminando le pratiche dell’Ong di valutazione e sostegno dei clienti, sostengo che le persone non si conformano in modo automatico alla categoria giuridica di rifugiati, ma sono piuttosto resi riconoscibili come tali attraverso incontri tra molteplici figure. L’articolo si concentra su un richiedente asilo dal Bangladesh inizialmente classificato dall’Ong come migrante economico il quale, dopo una serie di incontri con un esperto legale ed un interprete, venne infine ritenuto un ‘vero rifugiato’. Esploro gli incontri attraverso i quali numerosi attori co-autorizzano la storia di vita di questo richiedente trasformandola alla fine in un testo ufficiale adatto ad essere presentato in appello. Questo testo, che elide la fluidità che sottende alla sua produzione ed elimina scarti e contraddizioni presenti nel caso del richiedente, è cruciale per il processo di riconoscimento facendo apparire il richiedente come se fosse (sempre stato) un rifugiato. Sostengo che un’attenzione etnografica ai contesti di interazione che sottendono la produzione testuale consenta di comprendere i modi in cui le categorie legali sono sistematicamente reificate e come acquisiscano potere.
This article explores the everyday politics of refugee recognition at an asylum advocacy NGO in Athens, Greece. Examining NGO practices of client assessment and support, I argue that persons do not inherently conform to the legal category of refugee, but rather, are made recognizable as refugees through encounters among multiple parties. The article centers on the case of a Bangladeshi applicant who had, initially, been marked by NGO workers as an ‘economic migrant’ but, through a series of meetings with an NGO lawyer and interpreter, was ultimately deemed to be a ‘real refugee’. I explore the encounters through which multiple actors co-authored this applicant’ life history and, ultimately, rendered it into a formal text to be submitted with the appeal of his asylum claim. This text, which elides the fluidity underlying its production and smoothes over the gaps and contradictions in the asylum seeker’s case, is crucial to the process of recognition, making the applicant appear as if he is – and has always been – a refugee. I argue that ethnographic attention to interactional settings underlying textual production helps us understand the systematic ways in which legal categories are reified and how they acquire their power.