Gino Satta — L’etnocentrismo critico e le alterne fortune dell’umanesimo etnografico demartiniano

Abstract

L’articolo si propone di passare in rassegna – seppure inevitabilmente in modo non esaustivo – le diverse fasi della ricezione della prospettiva dell’etnocentrismo critico formulata da Ernesto de Martino e della correlata posizione dell’umanesimo etnografico che su essa si fonda. Conosciuta in particolare attraverso le note pagine degli appunti di lavoro sulle apocalissi culturali pubblicati postumi a cura di Clara Gallini, la prospettiva è anche anticipata in altri luoghi dove – negli stessi anni in cui lavorava all’opera incompiuta – l’autore ne ha esplorato altri aspetti, mettendone in chiaro alcuni importanti riferimenti culturali. Di particolare interesse risulta l’unico passaggio in cui l’espressione compare in un testo pubblicato in vita da Ernesto de Martino, dove la prospettiva dell’etnocentrismo critico si situa in contrapposizione da un lato al “rozzo” relativismo, e dall’altro – soprattutto – alle prospettive confessionali nell’etnologia e nella storia delle religioni. Nonostante un riferimento di Cirese nel discorso funebre tenuto in ricordo di de Martino, e i brevi passaggi contenuti in alcuni dei suoi ultimi saggi, l’etnocentrismo critico sfugge però all’attenzione della comunità antropologica fino alla pubblicazione postuma della Fine del mondo, dove l’espressione compare come perno delle riflessioni sull'”umanesimo etnografico”. In questa fase, poco più di un decennio dopo la scomparsa dell’autore, la ricezione delle sue tesi appare piuttosto ambivalente. Se da un lato ne viene sottolineato con decisione il carattere anticipatore e la originalità all’interno del campo degli studi etnologici, dall’altro queste tesi vengono ritenute “insufficienti” (Gallini), “non del tutto soddisfacenti” (Lanternari), per certi versi “datate” (Lombardi-Satriani) rispetto al dibattito della fine degli anni ’70. Un interesse differente per la prospettiva si determina invece a partire dagli anni ’80, in relazione ai dibattiti epistemologici sulla natura del sapere antropologico e alla diffusione delle prospettive ermeneutiche e “riflessive”. De Martino appare in questa fase come un anticipatore delle tendenze anti-naturalistiche dell’antropologia e il suo etnocentrismo critico come una interessante traiettoria eterodossa del sapere antropologico, che può fornire spunti importanti per i dibattiti contemporanei. I vari tentativi di attualizzazione, nelle loro molte differenze, tuttavia, si sono scontrati e si scontrano con alcuni aspetti del pensiero di de Martino fortemente radicati nelle prospettive dello storicismo idealistico, difficilmente trasponibili e reinterpretabili nel contesto di una reale decolonizzazione dei saperi.

The article is a review of Ernesto de Martino’s “critical ethnocentrism” and of the “ethnographic humanism” perspective that is based upon it. Its aim is to outline the different phases of the reception of that epistemological perspective. Known from the notes for his work about “cultural apocalypses” published by Clara Gallini 12 years after his death, the perspective of critical ethnocentrism is also discussed in other writings where different aspects and references are drawn. Particularly interesting is the only writing where the expression appears while the author was alive. Here the perspective is discussed in opposition to the “rude” positions of cultural relativism and to the “confessional” positions in ethnology. Despite a reference by Cirese in the funeral oration held in memory of de Martino, and the short passages contained in some of his latest essays, critical ethnocentrism escapes the attention of the anthropological community until the posthumous publication of La fine del mondo, where the expression appears as a pivot of reflections on “ethnographic humanism”. In this phase, just over a decade after the death of the author, the reception of his thesis appears rather ambivalent. If on the one hand the anticipatory character and originality within the field of ethnological studies are decisively underlined, on the other hand these theses are considered “insufficient” (Gallini), “not entirely satisfactory” (Lanternari), for certain aspects “outdated” (Lombardi-Satriani) compared to the debate of the late ’70s. A renewed interest for de Martino’s perspective starts in the early ’80, following the debates about the nature of anthropological knowledge and the diffusion of hermeneutic and “reflexive” perspectives. In this phase de Martino is presented as a pioneer of anti-naturalistic tendencies in anthropology, and its “critical ethnocentrism” as an interesting and heterodox path in anthropological thinking, from which contemporary anthropological debates can usefully borrow. Different reinterpretations aiming at transposing de Martino’s epistemological perspective into contemporary debates have, nonetheless, always found difficult to reconcile its alleged modernity with its root in idealistic historicism.