Abstract
L’articolo illustra il particolare uso delle fonti orali, in rapporto alle fonti scritte, nel lavoro filologico di Venturelli. Analizzando, negli anni ’60 del secolo scorso, le opere di Giovanni Pascoli, ricche di prelievi dialettali dall’area di Barga, Venturelli non usa solo vocabolari dialettali e studi linguistici, ma ricorre a vecchi informatori che avevano condiviso l’ambiente pascoliano, e la cui testimonianza gli consente di localizzare e identificare meglio i diversi elementi. Nello studio della narrativa popolare non raccoglie solo singole fiabe, comparandole con redazioni già edite, ma registra e confronta versioni di un determinato racconto prodotte da persone appartenenti a diverse generazioni di una stessa famiglia. Nello studio del teatro popolare toscano, spesso legato alla tradizione scritta, si interessa non solo alle varianti presenti nei copioni, ma anche a quelle prodotte oralmente durante le rappresentazioni. L’autore conclude che questo tipo di ricerca, condotta con rigore e grande sistematicità, si ricollega alle migliori tradizioni italiane della filologia dei testi popolari, per quanto riguarda la determinazione spaziale e temporale di essi, ma rivela anche una forte originalità e una reale capacità di corrispondere alle esigenze della moderne teorie del testo e della comunicazione.
This paper alms to highlight the distinctive use of spoken sources, compared to that of written ones, in Venturelli’s philological works. When Venturelli analyses Giovanni Pascoli’s work (during the 1960s) — which includes many dialectal items drawn from the area of Barga — Venturelli does not only make use of dialectal dictionaries or linguistic publications, but he also turns to interview the old people who have shared Pascoli’s same milieu. Thanks to their testimony, he succeeds in better localizing and identifying such items. In the field of folktale study, not only does Venturelli collect single fairy tales that can be compared with the ones that have already been published, but he goes as far as to compile accounts of the different versions of specific stories produced by individuals of different generations within the same family. Dealing with Tuscan folk theatre — based in many cases upon a written text — he collects variants from manuscripts, as well as he documents the variants produced during a given spoken performance. This essay argues that such an approach, always rigorous and methodical, pertains to the best Italian traditions of the philological study of the spatial and temporal distribution of folk texts. At the same time, it shows a high degree of originality and a real ability to match the modern theories of Text and Communication.