Abstract
Pascoli non è interessato a una teoria della lingua, ma piuttosto possiede una poetica e una retorica. Da un lato egli rivendica il valore delle «parole proprie» come rispetto del polimorfismo della realtà; dall’altro sostiene la necessità, per la poesia, delle «parole che velano», estranee all’uso presente. La «parola propria» infatti, per Pascoli, è anche e soprattutto la parola icastica e sonora, che fa vedere e udire per via analogica la cosa. Essa assume quindi una valenza magica, che Gastone Venturelli ha saputo cogliere, e che va oltre la dimensione puramente letteraria del simbolismo. Sono presenti in lui tracce d’una concezione del linguaggio come attività antropologica e funzione esistenziale, che guarda verso la contemporaneità.
Pascoli shows no interest in the construction of a theory of language, rather he makes use of his own poetics and rhetoric. On one hand, he asserts the value of the «parole proprie [proper words]» as a way of respecting the polymorphism of reality. On the other hand, he argues that poetry needs «parole the velano [veiling words]»: words that do not belong to present use. In fact, the «parola propria [proper word]» in Pascoli, mostly identified with icastical and sonorous words capable of analogically showing something, and letting it be heard. Such words, then, acquire those magical implications that Gastone Venturelli could acknowledge, and which go beyond a purely literary dimension, as in the case of symbolism.