Regina Bendix — Il piacere dell’orecchio: verso un’etnografia dell’ascolto

Con un commento di Ferdinando Abbri

Abstract

La ricerca, con relativa raccolta documentaria, sulle forme della espressività culturale, prese l’avvio dalla forza di attrazione, spesso emotiva e sensoriale, esercitata sugli studiosi dalle canzoni popolari, dai racconti e da altri generi di tradizione orale. La scrittura e la stampa costituivano, nel XIX secolo, il mezzo abituale di produzione e di comunicazione del sapere: ciò, in aggiunta alla progressiva tendenza ad evitare l’uso di un lessico permeabile alle emozioni, fini per impoverire la comprensione della unicità sensoriale e sensuale della esperienza dei fatti culturali di cui sopra. Mentre gli studi culturali hanno da tempo avviato una revisione critica delle loro eredità metodologiche, il legame più intimo e affettivo tra gli studiosi di una disciplina emergente ed i loro oggetti prediletti, non è stato ancora adeguatamente riesaminato. La marginalizzazione di questa forza di attrazione implicita (quando non la radicale cancellazione di essa dal panorama disciplinare) ha contributo in egual misura alla marginalizzazione della esperienza sensoriale, cosi come del pano affettivo ed emozionale dal protocollo del lavoro etnografico. Per comprendere la marginalità di ciò che qui si definisce “etnografia dell’ascolto” (come esemplificazione di una più ampia etnografia della percezione sensoriale) questo saggio tratteggia le implicazioni della conseguente enucleazione del sentimento e del dato sensoriale/sensuale dal protocollo disciplinare di ricerca in materia di folklore. Si tornerà, poi, a discutere perché tale marginalizzazione è sempre meno sostenibile, cercando di vedere come gli etnografi abbiano cominciato a recuperare la sensorialità/sensualità e la corporalità come vitale componente della comprensione delle forme della espressività culturale.

Collection and research on expressive culture had its beginning in scholars’ deep and often emotional and sensory attraction to folk song, narration, and craft. Writing and print were the customary 19` h-century media of learning and communicating knowledge, and the growing scholarly habit of screening out emotional vocabulary further impoverished our understanding of the sensory and sensual totality of experience. While students of culture have long since begun to critically examine their fields’ legacies, the more intimate, affective linkage between burgeoning scholars and their disciplinary subject has not been fully considered. It is this implicit attraction and its marginalization, if not disappearance from scholarly purview, that contributed to the equal marginalization of sensory experience, affect, and emotion from ethnographic work. To comprehend the marginal place of what I would like to term an “ethnography of listening” (as one example within a larger ethnography of sensory perception), this essay sketches the implications of the successive exclusion of sentimentality and sensuality from scholarship concerned with folklore, before turning to a discussion of why such marginalization is increasingly untenable and how ethnographers are beginning to recover sensuality and corporality as a vital part of understanding expressive culture.