Abstract
II saggio intende ripercorrere la discussione sul “rituale” negli ultimi decenni per esplorarne le difficoltà. TI curioso e che tutte le correnti antropologiche (lo strutturalismo, il simbo]ismo, l’interpretativismo e il poststruttualismo) hanno un rapporto ambiguo con la categoria di “rituale”, ritenendola ora un residuo poco interessante della razionalizzazione dell’Occidente, ora una forma di elaborazione ineliminabile della mente umana. Se non si segue lo stereotipo che la modernizzazione produca solo “il disincanto della ragione”, vediamo che la “pratica rituale” continua a manifestarsi in una ricchissima serie di “eventi pubblici”, dai passaggi delle fasi della vita, ai momenti maggiori di mutamento sociale, alle forme di autocostituzione del self. In altri termini, laddove sorgono questioni di “incertezza” fra senso vitale e strutture sociali, e dove le persone fanno i conti con le norme sociali, cioè in ogni società.
This essay is focused on the way the category of “ritual” has been discussed over the past years. It seems curious to note that all anthropological perspectives (structuralism, symbolism, interpretivism, post-structuralism) today have an ambiguous relationship with the category of “ritual”, looking at it as an uninteresting fossil of western rationalization, or as an unavoidable form of elaboration of the human mind. However, if we don’t strictly follow the stereotypical concept for which modernization is only capable to produce an Entzäuberung of the world, it is possible to identify much evidence on “ritual practice” as it is always present in a very large series of “public events”: in the coming of age, during major social changes, in the representations of selves: in other words, whenever forms of “uncertainty” between life world and social structures exist, and whenever individuals encounter social norms; therefore in all societies.