Luisella Battaglia — Femminismo e animalismo: una nuova alleanza?

Abstract

Perché – ci si potrebbe chiedere – le donne dovrebbero essere interessate alla questione etica relativa al trattamento degli animali? Perché dovrebbe esserci una prospettiva femminista sullo status degli animali? È stato soprattutto il femminismo radicale a valorizzare le varie istanze etiche espresse dalla filosofia della liberazione animale, nel suo sforzo di estendere agli animali non umani i principi e le norme valide per l’etica umana. Su un piano più propriamente politico è parso infatti possibile rinvenire un collegamento tra femminismo e animalismo, intesi come movimenti di liberazione. Tale parallelo è esplicitamente introdotto dal filosofo Peter Singer il quale afferma che, anche nel caso del movimento di liberazione degli animali si tratta di porre fine al pregiudizio ed alla discriminazione basati su un criterio – la specie – vacuo e arbitrario allo stesso modo della razza e del sesso. Ne deriva una stretta analogia tra razzismo, sessismo e specismo, in quanto forme di discriminazione ingiustificabili, fondate sull’egoismo di gruppo e sulla pretesa di perpetuare l’esistente gerarchia di potere. Non è senza significato, si può rilevare, che tale affermata continuità tra movimenti di liberazione di umani e di animali sia stata, nel passato, sfruttata con intenti parodistici dagli oppositori. Basti ricordare che, alla fine del Settecento, il filosofo neoplatonico Thomas Taylor scrisse un libello sarcastico, intitolato Vindication of the Rights of Brutes (1792), col preciso intento di confutare l’opera di Mary Wollstonecraft, The Rights of Woman (1791). Taylor intendeva compiere una reductio ad absurdum delle tesi emancipazioniste: riconoscere i diritti alle donne avrebbe significato inevitabilmente riconoscere i diritti anche agli animali. Il femminismo dovrebbe impegnarsi nella lotta a favore dei diritti degli animali, superando la visione ristretta dell’emancipazionismo liberale attraverso un’analisi più radicale dell’oppressione che si estenda oltre la specie, sottolineando quindi le analogie tra razzismo, sessismo e specismo proprie dell’impostazione liberazionista. Tutte le forme di oppressione appaiono interconnesse: si tratta pertanto di combatterle sulla base dell’assunto che la filosofia femminista si propone il miglioramento della vita sulla terra per tutte le creature che la abitano.

Why – we could ask ourselves – women should be interested in the ethical issue of animal treatment? Why should there be a feminist perspective on the condition of animals? Radical feminism was the chief promoter of the various ethical instances expressed by the philosophy of animal liberation, with its effort to extend to non human animals principles and norms that are valid for human ethics. In fact, it seemed that a link among feminism and animal activism could be found on a more specifically political level, as they are both intended as liberation movements. Such a correlation is explicitly put forth by philosopher Peter Singer, who claims that, also in the case of the animal liberation movement, the issue is that of giving an end to prejudice and discrimination based on a criteria – the specie – that is as empty and arbitrary as those of race and sex are. A close link among racism, sexism and ‘‘speciesism’’ is derived from such an analogy, as they are all forms of unjustifiable discrimination, based on group egoism and on the aspiration to perpetuate an existing power hierarchy. It can be derived that it is not inconsequential that such an affirmed continuity among human and animal liberation movements has been, in the past, taken advantage of by its opponents, with parodying intents. It is sufficient to recall that, at the end of the XVIII Century, Neo-Platonist philosopher Thomas Taylor wrote a sarcastic pamphlet titled Vindication of the Rights of Brutes (1792), with the precise intent of confuting The Rights of Woman (1791), by Mary Wollstonecraft. Taylor intended to carry on a reductio ad absurdum of arguments for emancipation: recognizing rights to women would have inevitably meant recognizing rights to animals as well. Feminism should get involved in the fight for animal rights, overcoming the narrow vision of liberal ‘‘emancipationism’’ through a more radical analysis of oppression, extended beyond the specie; underlining, in so doing, the analogies among racism, sexism, and ‘‘speciesism’’ that are embedded in the liberationist approach. All forms of oppression appear interrelated; therefore, it is necessary to fight them on the basis of the thesis that feminist philosophy aims at bettering life on earth, for all creatures that inhabit it.