Pietro Paolo Onida — Macellazione rituale e status giuridico dell’animale non umano

Abstract

Negli ultimi decenni si è riproposto all’attenzione della opinione pubblica e della comunità scientifica il tema del contrasto fra le pratiche rituali connesse alla macellazione per dissanguamento, propria delle religioni ebraica e musulmana, e le norme, nazionali e sovranazionali, volte a impedire il maltrattamento degli animali non umani. L’ammissibilità di tali pratiche rituali è assai controversa al punto che è andata diffondendosi sempre di più la esigenza di trovare rimedi, che, garantendo in nome della libertà di religione la possibilità di portare a termine la macellazione rituale, evitino anche il più possibile sofferenze all’animale. Alla base del contrasto ora richiamato non vi è una semplice antinomia, ma un conflitto fra due diversi modi di pensare il rapporto tra l’uomo e gli altri animali: fra l’idea dell’animale non umano come essere vivente, meritevole in quanto tale di una tutela giuridica, imparentato con l’uomo, e l’idea dell’animale non umano come essere distante dall’uomo e quindi assoggettato all’arbitrio di quest’ultimo che può ucciderlo per trarne una qualche utilità o anche solo piacere. Ampliare la prospettiva di osservazione dalla quale si guarda alla questione della macellazione rituale, dall’ambito specifico di una semplice antinomia alla visione più generale del rapporto tra l’uomo e gli altri animali, può servire, da un lato, a evitare l’errore di concepire il contrasto come scontro fra il valore della libertà di religione e il valore della tutela della vita animale, dall’altro, a rifiutare di interpretare le disposizioni in tema di macellazione e più in generale quelle in tema di animali non umani in una chiave antropocentrica che non permette di cogliere l’essenza del valore della vita animale.

Ritual practices of animal slaughtering by jugulation, as mandated by traditional Judaism and Islam, can conflict with those national and supranational laws that aim to prevent cruelty to non-human animals. The tension between the two sets of norms has drawn the attention of the general public and of the scientific community in recent decades. Since the acceptability of such ritual practices is hotly debated, methods are being sought that can safeguard both the needs of ritual slaughtering, for the sake of religious freedom, and the need to limit animal suffering to a minimum. Underlying the contrast between the two set of needs there isn’t a mere antinomy, but rather a conflict between two different ways of conceiving the relationship between humans and other animals: between a notion of the non-human animal as a living being, deserving as such of legal protection and related to humans through kinship, on the one hand; and, on the other hand, a notion of the non-human animal as a being that is unrelated to humans and therefore subject to our whim, liable to be killed if this serves any human need or even just gives us pleasure. We should adopt a wider outlook on the issues surrounding ritual slaughter, moving from the specific focus of a simple antinomy to a more general view of the relationship between human beings and other animals. This can help us avoid the mistake of seeing the conflict as a clash between the value of religious freedom and the value of animal welfare; moreover, it can help us avoid interpreting slaughter norms – and more widely all norms concerning non-human animals – according to an anthropocentric perspective that won’t let us grasp the essence of the value of animal life.