René Capovin — I due Riegl. Valore dell’antico e valore di antipanico

Abstract

«Valore dell’antico» è una categoria coniata all’inizio del 1903 dallo storico dell’arte austriaco Aloïs Riegl in Il culto moderno dei monumenti e riusata, nel pieno del cosiddetto «culto moderno di Riegl», anche dall’urbanista francese Françoise Choay nell’influente L’allégorie du patrimoine. L’articolo, dopo aver delineato le linee essenziali delle due opere, difende l’idea che «valore dell’antico» faccia riferimento a realtà molto diverse e sia riconducibile a registri intellettuali opposti. In Riegl, la formula rimanda alla sensibilità, propria dell’individuo del XX secolo, per il ciclo della genesi e del perire delle cose: si tratta di una categoria avalutativa, tesa a cogliere la fonte di legittimazione moderna del culto dei monumenti. In Choay, la medesima categoria figura entro una critica della «sindrome patrimoniale» postmoderna, patologia che ha origine nel crescente sradicamento spazio-temporale e ha tra le proprie conseguenze l’allargamento indiscriminato dei confini del «patrimonio»: in questo discorso, il «valore dell’antico» diventa una sorta di paradossale e illusorio «valore di antipanico», da intendere quale funzione della sindrome che l’autrice denuncia. Il confronto tra «i due Riegl» permette di mettere in luce, nella conclusione, un fatto fondamentale: il «primo» Riegl, considerando il valore di un monumento quale una variabile culturale che è possibile descrivere ma insensato criticare, adotta davanti ai processi culturali un atteggiamento «innocentista» che non inibisce, anzi innesca, conseguenze concettuali rivoluzionarie.

The ‘‘value of the ancient’’ as a category was created at the beginning of 1903, by the Austrian art historian Aloïs Riegl, in The Modern Cult of Monuments. It has also been used, in the midst of the so called ‘‘Riegl’s modern cult’’, by French urbanist Françoise Choay, in his influential L’allégorie du patrimoine. The essay, after delineating the key points of the two publications, advocates for the idea that ‘‘value of the ancient’’ refers to very distinct realities, and that it has to be referred to opposite intellectual registers. In Riegl, the expression refers to the sensitivity, proper of the XX Century’s individual, for the genesis cycle and for the decaying of things: it is an auto evaluated category, aimed at uncovering the foundation of the modern validation of the cult of monuments. In Choay, the same category appears as part of a critique of the postmodern ‘‘heritage syndrome’’: a pathology that originates from the growing temporal and spatial uprooting and that has, among its consequences, the indiscriminate enlargement of the sphere of ‘‘heritage’’. In such argument, the ‘‘value of the ancient’’ figures as a sort of paradoxical and illusionary ‘‘anti-panic value’’, to be intended as a function of the syndrome that the author exposes. The comparison between ‘‘the two Riegls’’ allows us to shed light, at the conclusion, on a crucial fact: considering the value of a monument as a cultural variable that is impossible to describe but that would be nonsense to criticize, the ‘‘first’’ Riegl, adopts, in respect to cultural processes, a ‘‘pleader for innocence’’ attitude that does not inhibit, but, on the contrary, triggers revolutionary conceptual consequences.