Abstract
Sulla base di una frase pronunciata da Giorgio Baratta nella tavola rotonda organizzata a Nuoro nel giugno 2007 dall’ISRE, si propone un’interpretazione della questione dei subalterni e della subalternità in Gramsci. Sviluppando l’intreccio tra la lettura proposta allora da Baratta, e il testo dei Quaderni del carcere, si mostra come la questione non possa essere formulata correttamente, se si prescinde dal suo nesso con la teoria dell’egemonia e dello Stato integrale da una parte, con la filosofia della praxis dall’altra. Infatti la categoria di “subalterno” viene riempita di contenuto – come mostra Baratta – grazie a una precisa “esperienza”, che a sua volta diventa “conoscenza” grazie alla capacità, propria della filosofia della prassi, di “prendere posizione” nello spazio dei rapporti di forza. In questo modo, il “subalterno” cessa di apparire il testimone di una marginalità o alterità assoluta, e può essere ripensato come l’espressione determinata di un rapporto di egemonia.
Starting from a sentence pronounced by Giorgio Baratta in a roundtable organised by the ISRE in Nuoro (June 2007), the attempt is made to give an interpretation of Gramsci’s notion of the subaltern and subalternity. Developing the connection between the thesis proposed by Baratta, and the text of the Prison Notebooks, we will show that the question cannot be posed correctly if it is separated from its relation to the theory of hegemony and of the integral State on the one hand, and to the philosophy of praxis on the other. As a matter of fact, as Baratta shows, the category of “subaltern” draws its contents from a particular “experience”, whose transformation in “knowledge” is due to the peculiar ability of the philosophy of praxis to “situate” itself in the space of the relations of force. In this way, the “subaltern” does not appear as the witness of a sort of marginality or absolute otherness anymore, and can be redefined as the determinate expression of a hegemonic relationship.