Abstract
Fin dalle origini della fotografia, i mezzi di riproduzione tecnica hanno trovato un largo impiego all’interno delle pratiche di rappresentazione e auto-rappresentazione riguardanti la sfera privata e familiare. Come è stato notato da Pierre Bourdieu, l’introduzione di tali dispositivi non ha semplicemente garantito il rispecchiamento delle pratiche che caratterizzano la vita domestica, ma ha contribuito, a sua volta, a negoziare e definire ruoli e sistemi di valori. Così, osservando le immagini fotografiche e i filmati girati in Super8 nel corso del Novecento, è possibile riconoscere, in filigrana, dietro lo schermo di proiezione immaginaria del nucleo familiare, il gioco delle identità che inquadra la messa in scena. Dopo una breve definizione storica e teorica della pratica delle riproduzioni familiari su supporto e in particolare della produzione di home movies, questo contributo si propone di riflettere sul fenomeno di rigenerazione estetica di tali materiali all’interno del cinema di found footage che caratterizza l’estetica contemporanea. Che cosa succede quando un artista o un cineasta ritrova e recupera i film conservati nell’archivio familiare e decide di operare un montaggio narrativo? Come si verifica il passaggio dalla sfera privata delle rappresentazioni domestiche alla dimensione pubblica del racconto cinematografico? Cosa comporta tale passaggio tra sfere e campi discorsivi differenti? Attraverso l’analisi del film Un’ora sola ti vorrei (2002) di Alina Marazzi, si cerca di riflettere sulle forme di “riciclo” e di “sopravvivenza” delle immagini familiari in ambito artistico. L’obiettivo è quello di evidenziare la capacità del cinema di found footage di indagare, analizzare ed esporre alla visione dello spettatore la ‘cultura visuale domestica’, il campo di tensioni familiari e sociali interno agli home movies incorporati e rielaborati nel tessuto narrativo del film.
From the very beginnings of photography, means of technical reproduction were widely used in the practice of representing and self-representing private and family life. As has been noted by Pierre Bourdieu, the introduction of these devices did not simply ensure a reflection of the practices that characterize domestic life, indeed it helped to negotiate and define roles and systems of values. By observing photographs and footage shot in Super8 over the course of the twentieth century we are able to capture in detail the play of identities the mise en scène defines behind the imaginary household projection screen. After a brief historical and theoretical introduction to the practice of domestic pictures, this paper reflects on the phenomenon of aesthetic regeneration of these materials within the found footage cinema. What happens when an artist or a filmmaker finds and retrieves films kept in the family archives and decides to turn it into a narrative montage? How does the transitino take place from the private dimension of domestic happenings to the public dimension of cinema? What is involved in this passage between the two different discursive fields? Through analysis of the film For One More Hour With You (Un’ora sola ti vorrei, 2002), by Italian director Alina Marazzi, we set out to reflect on the types of ‘recycling’ and ‘survival’ of family pictures within an artistic environment. The aim is to highlight the capacity of found footage film to investigate, analyze and present to the spectator ‘domestic visual culture’, or rather, the field of family and social tension immortalized within a few feet of film.