Matteo Aria — «Domattina Tahiti sarà un paese immaginario». Gino Nibbi e il mito delle isole della felicità

Abstract

All’interno dell’abbondante letteratura sul mito di Tahiti, questo saggio pone l’attenzione su un libro poco noto e ormai introvabile, Nelle Isole della Felicità (1934), e sul suo autore Gino Nibbi (Fermo, 1896 – Grottaferrata, 1969), scrittore, giornalista, esperto d’arte e viaggiatore che visse a lungo in Australia, soggiornando per tre mesi alle Isole della Società. Rara testimonianza italiana su quelle realtà polinesiane altrimenti monopolio esclusivo degli scrittori e artisti francesi e americani, l’opera di Nibbi si distingue per la sua reticenza a cavalcare l’epica della denuncia e della condanna così frequente tra i molti dissacratori dei miti dei mari del Sud; come del resto, in modo particolarmente originale per quegli anni, non si ferma solo a compiangere la fine del popolo tahitiano colpito a morte dall’evangelizzazione missionaria e dalle catastrofi della dominazione francese, e a seguire la lirica dei “senza memoria” orchestrata dai vari Gauguin, Gerbault o Segalen. Sembra infatti percorre un’altra via, ugualmente distante dalla copiosa letteratura esotista intenta ad omettere ogni riferimento alla situazione coloniale per esaltare la bellezza dei paesaggi, il fascino degli indigeni, la fecondità della natura e l’amore passeggero e voluttuoso. Sebbene sia consapevole della perdita di gran parte delle antiche tradizioni a causa del cosiddetto “impatto fatale”, Nibbi valorizza i contatti, le contaminazioni e la capacità dei tahitiani di agire nel loro presente impuro e sottoposto al giogo coloniale, scorgendo persistenze, complessità e vitalità inesplorate. Fornisce così una visione delle Isole della Felicità inusuale, attenta a decostruirne le rappresentazioni stereotipate e reificanti, mostrando al contempo una particolare sensibilità nel descrivere la complessa umanità occidentale di stanza o di passaggio nel capolinea del Pacifico romantico.

Within the copious literature on the myth of Tahiti, this essay draws attention to a not very well-known and almost unobtainable book, Nelle Isole della Felicità (1934), and on its author Gino Nibbi (Fermo, Italy, 1896 – Grottaferrata, Italy, 1969) – a writer, journalist, art expert and voyager who lived in Australia for a long time, spending three months in the Society Islands. A rare Italian account on those Polynesian worlds that would otherwise be the exclusive monopoly of French and American writers, Nibbi’s book stands out for its refusal to surf the epic of denunciation and condemnation so frequent among the desecrators of the South Seas. The author manages – in a fairly original manner for his times – to avoid taking a merely pitying approach to the Tahitians, wiped out by the missionaries’ evangelization and by the devastating French rule, or to simply go along the flow of the “no memory people”, the lyric on “les immémoriaux” sung by Gaugain, Gerbalut, Segalen and the lot. Nibbi rather chooses a different path, equally distant also from the abundant literature on the exotic that systematically avoided any reference to the colonial aspect to insist on the beautiful landscapes, the charming natives, the fertile nature and the marvels of casual and sensual love. While well-aware of the loss of the ancient traditions following the so-called “fatal impact”, Nibbi emphasises the contacts and contaminations, and the Tahitians’ capacity to act upon their impure present of subjugated colonised people – catching glimpses of persistence, complexity and of an unchartered vitality. By doing so the book offers an unusual vision of the Islands of Happiness that deconstructs their stereotypical and reifying representations, and also reveals a remarkable talent in describing the complex western creatures living at or passing-by the end of the romantic-Pacific line.