Abstract
A partire dalla ricerca dottorale sul campo in Turchia, in questo contributo intendo analizzare alcune implicazioni biografie ed epistemologiche per riflettere sulla moltiplicazione dei campi che caratterizza la storia più recente degli studi antropologici italiani. Se la contaminazione degli spazi teorici ed etnografici mi ha permesso un distacco e un ripensamento della tradizione disciplinare da cui provengo, al contempo ha posto le premesse per una condizione di doppia insularità esperita durante e dopo il campo di ricerca, in quanto ricercatore italiano in Turchia. Quest’ultima negli ultimi anni ha sviluppato una “tradizione” di studi antropologici portata avanti dall’élite culturale del Paese in prestigiosi poli di ricerca europei e nordamericani. Questo processo si inserisce in quel programma teorico e politico dei Postcolonial studies volto a smascherare la violenza epistemica dei discorsi “occidentali” sugli “altri” che, di conseguenza, ha finito per ridurre gli spazi per uno sguardo dal “di fuori”. La prima insularità prende dunque forma in relazione alla ridefinizione della legittimità di chi parla e di chi scrive. La seconda ha invece a che fare con la libertà e la solitudine, sul piano della biografia intellettuale, legata alla possibilità di aprire nuovi terreni di ricerca. In altre parole mi riferisco alla condizione di estraneità e marginalità non soltanto rispetto al contesto d’indagine (la Turchia), ma anche ai poli di produzione del discorso scientifico intorno ad esso. L’articolo si conclude ragionando sulla necessità di mantenersi ancorati alla propria tradizione teorica ed epistemologica, che costituisce la peculiarità del punto dal quale si parla, impegnandosi tuttavia in un paziente lavoro di confronto e traduzione con i linguaggi e le teorizzazioni egemoni nel discorso antropologico internazionale.
Drawing on my doctoral research in Turkey, I intend to shed light on some of the biographical and epistemological implications of doing fieldwork research in order to reflect on the recent multiplication of fields of study in Italian anthropology. Such theoretical and ethnographic multiplication has helped me rethink the Italian intellectual tradition I am indebted to; at the same time, it has led to me to experience a condition of “dual insularity”: that of an Italian ethnographer in Turkey, both during and after my fieldwork. In recent years, Turkey has established a “tradition” of anthropological studies. Led by its cultural elites in prestigious European and North American research institutes, it should be seen in continuity with Postcolonial studies’ theoretical and political program: to reveal the epistemic violence of “Western” discourses on the “others”. Incidentally, this has caused the loss of spaces devoted to gazing “from the outside in”. Thus, the first “insularity” refers to a redefinition of the issues surrounding the legitimacy of who can speak out/write on/for the others. The second one, instead, concerns the two-fold condition of freedom and lonliness at the heart of my intellectual biography, and is directly related to the possibility of new fields of research. In other words, I describe the sense of marginality I experienced during fieldwork, and towards the scientific discourses on that specific context. This article highlights the advantages of remaining anchored to a certain theoretical and epistemological tradition: as product of the researcher’s point of view, but also as opportunity to engage in a work of comparison and translation with hegemonic languages and theorizations which are part of mainstream, international anthropological discourses.