Abstract
La crisi attuale dell’Unione europea presenta diverse cause, tra le quali la mancata creazione di un sentimento di unità gioca un ruolo importante. Sotto diversi punti di vista l’Unione europea ha raggiunto sicuramente la quotidianità dei cittadini europei, ma ciò nonostante non è riuscita a farsi veramente percepibile nella loro vita quotidiana. Tale diagnosi mi ha riportato a un progetto etnografico, condotto tra la fine degl’ultimi anni Novanta e i primi anni del Duemila, i risultati del quale sono stati presentati presso le università di Firenze e Siena nel 2005. La mia tesi di allora sosteneva che il processo di europeizzazione crea dei «luoghi europei», in particolar modo nelle città. L’indagine di tali spazi, a mio avviso, mette in luce non solamente i processi di territorializzazione, bensì getta uno sguardo pure sul futuro stesso dell’Europa. Il Café Schengen, situato nelle vicinanze di Tangeri in Marocco, ha mostrato, per lo meno, che questa tesi non è del tutto inesatta. In tal senso la traduzione italiana qui presentata vuole incoraggiare nuovi studi etnografici sull’Europa.
The current EU-European crisis has many causes – one important is the fact that the EU has not been able to generate a significant common bond among the population within the union. While the EU has had many effects on the everyday lives of citizens, such effects are not very perceptible from day-to-day. This diagnosis reminds me of an ethnographic project that I conducted at the turn of the millennium, and whose results I presented in 2005 at the universities of Florence and Siena. At the time, my assumption was that – particularly in cities – the process of Europeanisation creates European places. My idea was that the detailed investigation of such places would not only uncover processes of territorialisation, but also provide a glimpse of the future of Europe. This hypothesis was not totally wrong, at least inasmuch as it applied to Café Schengen near the Moroccan city of Tangier. The Italian translation of this research presented here is now to encourage further ethnographic work on the «new Europe».